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xxx | i suppositi. |
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Filogono. Io son stanco, ed ho più bisogno di riposo che di gire attorno. Lo aspettaremo qui. È gran fatto che non ritorni a casa.
Lico. Io dubito che ritrovarà un nuovo Erostrato egli ancora.
Ferrarese. Ecco, ecco ch’io lo vedo là... Ma dove è ritornato?[1] Aspettami qui, ch’io lo chiamerò. Erostrato, o Erostrato; tu non odi? o Erostrato, torna in qua.
SCENA VII.
EROSTATO, FERRARESE, FILOGONO, DALIO e LICO.
Erostrato. (Io non mi posso in somma nascondere: bisogna fare un buon animo; altrimenti...)
Ferrarese. O Erostrato, Filogono il padre tuo è venuto fin da Sicilia per vederti.
Erostrato. Tu non mi narri cosa di nuovo; io l’ho veduto, e sono stato gran pezzo con lui. Venne fin[2] questa mattina per tempo.
Ferrarese. A quello ch’egli m’ha detto, non mi par già che più veduto t’abbia.
Erostrato. E dove gli hai tu parlato?
Ferrarese. Pare che tu nol conosca: vedilo che vien qui. Filogono, eccoti il tuo figliuolo Erostrato.
Filogono. Erostrato questo? mio figliuolo non è così fatto.
Erostrato. Chi è questo uomo da bene?
Filogono. Oh! questo mi pare Dulipo mio servo.
Lico. Chi nol conoscerebbe?
Filogono. Tu sei così vestito di lungo! hai tu, Dulipo, ancora forsi studiato?
Erostrato. A chi parla costui?
Filogono. Par che tu non mi conosca! parlo io teco, o no?
Erostrato. Di’ tu a me, gentiluomo?
Filogono. Oh Dio, dove sono io arrivato! Questo ribaldo finge di non conoscermi. Sei tu Dulipo, o ti ho io preso in cambio?
Erostrato. In cambio mi avete voi tolto veramente, ch’io non ho questo nome.