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atto quarto. — sc. vii, viii. 97

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Lico.     Padron, non ti dissi io che eravamo in Ferrara? Ecco la fede del tuo servo Dulipo, che niega di conoscerti! ha preso de li costumi di qua.

Filogono.     Taci tu, in malora.

Erostrato.     Dimanda a chi ti pare in questa terra, che non ci è uomo da bene che mio nome non sappia. Tu che qui hai condotto questo forestiero, di’: chi son io?

Ferrarese.     Per Erostrato di Catania t’ho io sempre conosciuto, e così ho udito nominarti, dopo che di Sicilia venisti in questa terra.

Filogono.     Oh Dio, che oggi diventerò pazzo!

Erostrato.     Dubito che tu sia già.

Lico.     Non ti avvedi, padron, che siam fra barri? Costui, che credevamo che nostra guida fussi, è d’accordo con questo altro, e dice che Erostrato è questo, che è Dulipo mio conservo.

Ferrarese.     A torto ti lamenti di me, perchè costui non udi’ mai nominare altramente che Erostrato da Catania.

Erostrato.     Che vuoi tu aver udito altramente nominarmi, che per il mio proprio nome? Ma son ben io pazzo a dare udienza a parole di questo vecchio, che mi pare uscito di senno.

Filogono.     Ah fuggitivo! ah ribaldo! ah traditore! A questo modo si accetta[1] il padron suo? C’hai tu fatto del mio figliuolo?

Dalio.     Ancora qui abbaja questo cane? e tu comporti. Erostrato, che ti dica villania?

Erostrato.     Torna indietro, bestia: che vuoi tu fare di questo pestello?

Dalio.     Voglio spezzare la testa a questo vecchio rabbioso.

Erostrato.     E tu pon giù quel sasso: tornatevi tutti in casa: non guardiamo al suo mal dire; abbiasi rispetto a la età.


SCENA VIII.

FILOGONO, FERRARESE e LICO.


Filogono.     A chi mi debbo ricorrere e domandare ajuto, poichè costui, ch’io m’ho allevato ed in luogo di figliuolo avuto sempre, mi tradisce, e mostra di non conoscermi? e tu, che per guida avevo tolto, ed amico mi tenea, ti sei con questo mio sceleratissimo servo già messo in lega? e senza


  1. Se non è sbaglio invece di tratta, avrà la significazione di Accoglie.
ariosto.Op. min. — 2. 9

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