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atto quinto. — sc. ii. | 101 |
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Pasifilo. È in prigione.
Erostrato. Come in prigione! e dove?
Pasifilo. In un pessimo luogo, qui, nella casa del padron suo.
Erostrato. Che ne sai tu?
Pasifilo. Mi vi son ritrovato.
Erostrato. E questo è vero?
Pasifilo. Così non fusse.
Erostrato. Sai tu la causa?
Pasifilo. Non ti curare più oltra: bástiti essere certo che egli è preso.
Erostrato. Pasifilo, io voglio che tu mel dica, se mai tu speri avere da me piacere.
Pasifilo. Deh va, non mi astringere ch’io te lo dica: e che tocca a te di saperlo?
Erostrato. Assai, e più che non ti pensi.
Pasifilo. E assai, e più che non ti pensi, tocca ad altri ancora ch’io lo taccia.
Erostrato. Ah, Pasifilo, è questa la fede ch’io ho in te? son queste l’offerte che tu m’hai fatte?
Pasifilo. Avess’io più presto digiunato oggi, che esserti venuto innanzi!
Erostrato. O che tu me lo dica, o che tu faccia conto che questa porta stia sempre per te chiusa.
Pasifilo. Voglio, prima che la nimicizia tua, quella di tutti gli uomini del mondo. Ma se odi cosa che ti dispiaccia, non ne colpare[1] altri che te.
Erostrato. Non è che[2] mi possa aggravare più che ’l male di Dulipo; non il mio proprio ancora: sì che non ti pensare potere peggior novella dirmi di quella che detta già m’hai, che egli sia preso.
Pasifilo. Poichè tu pur me lo comandi, ti dirò il vero. È stato ritrovato che si giacea con Polimnesta tua.
Erostrato. Aimè! Damon l’ha saputo?
Pasifilo. Una vecchia gliel’ha accusato; il quale subito l’ha fatto prendere, e così la nutrice ancor, che n’era consapevole ed adiutrice; ed amendua ha fatto porre in luogo, dove faranno de’ peccati lor durissima penitenzia.
Erostrato. Pasifilo, entra in casa, e va nella cucina, e fa cuocere e disporre quelle vivande secondo il parer tuo.
9° |
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