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136 | la cassaria. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Ariosto-Op.minori.2-(1857).djvu{{padleft:146|3|0]]
Che l’un l’altro vagheggi, e insieme facciano
l’amor, e altro ancor ch’io non vô esprimere.
Non ho speranza più ch’uomo di Sibari
Pigli le mie fanciulle. Son due gioveni
Forestieri, nei quai tutto riduttosi
È ’l mio disegno, che voglia ne mostrano,
Ed ogni maggior prezzo par lor picciolo:
E se l’audacia pari al desiderio
Avessino, che a’ padri loro osassino
Di far un fiocco,[1] come mi promettono
Di far e facilmente far potrebbono,
Saressimo d’accordo; ma mi menano
Di giorno in giorno in lunga, e non concludono.
L’uno è figliuol d’un mercatante ch’abita
In quella casa, venuto da Procida,
Non è gran tempo, a far qui li suoi traffichi;
L’altro d’un Catelano, il qual ci è giudice,
Che chiaman capitano di giustizia
Sopra li criminali. Io, perchè a muovere
S’abbian di passo, fingo di volermene
Andar altrove, e spero che m’abbia a essere
Util la finzïon. Ma ritornarmene
In casa è meglio, perchè mai nè muovere
Sì poco nè sì poco allontanarmene
Posso, che non mi sia danno. È impossibile
Che senza gridi e senza entrare in collera,
Senza minacce, anzi s’io non adopero
E pugni e calci e bastonate in copia,
Che questi miei gaglioffi, e che queste asine
Puttane, faccian cosa che a far abbiano.
- ↑ Espressione lombarda, adottata dalla Crusca; e vuol dire Ficcarla ad alcuno, in materia d’interesse. — (Pezzana.)