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146 | la cassaria. |
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Nostri, mi disporrei forse più facile-
mente di porli a rischio. Saríen forbici
Da tosar noi coteste, e non la pecora
Che detto m’hai.
Volpino. Mi stimi tu sì, Erofilo,
Di poco ingegno, ch’io volessi perdere
Cosa di tanto prezzo, e apparecchiatomi
Non abbia come riaverla subito?
Lásciane a me la cura: io sto a pericolo
Più di te. Quando i miei disegni avessino
Mal esito, di che poco mi dubito,
Tu non ne sentiresti altra molestia
Che di parole; io tormenti gravissimi
Nella persona, o mi farebbe in carcere
Morir di fame.
Erofilo. E che via c’è, ponendola
In mano di costui, poi di levargliela,
Se li denari prima non appajono;
Delli quali sai ben ch’abbiam penuria?
Ma se pria che i filati si riabbiano,
Torna mio padre; o se ’l ruffian, partendosi
Questa notte (chè qui tutto è il pericolo),
Se gli porta con lui; dimmi, a che termine
Ci ritroviamo?
Volpino. S’averai pazienzia
D’udirmi, troverai che buono ed ottimo
Disegno è il mio; e che c’è modo facile
Che questa notte ancora si riabbiano.
Erofilo.Orsù, t’ascolto: di’.
Volpino. Tosto che data la
Cassa abbia il nostro mercatante a Lucramo,
E che posta in sua[1] man abbia la giovane,
Voglio che al capitano di giustizia,
Al padre di costui, tu vada e faccigli
Querela, che di casa tua rubatati
Sia stata questa cassa, e che t’immagini
Che sia stato un ruffiano il quale t’abita
Vicino.
Erofilo. Intendo.
Volpino. Egli è cosa credibile,
- ↑ Ediz. Giol.: in tua.