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6 la cassaria.

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  Ha paragon con prose antique o versi,
  Nè pari è l’eloquenzia a quella prima:
Ma gl’ingegni non son però diversi
  Da quel che fûr; ch’ancor per quello Artista
  Fansi, per cui nel tempo indietro fêrsi.
La volgar lingua di latino mista
  È barbara e mal culta; ma con giuochi
  Si può far una fabula men trista.
Non è chi ’l sappia far per tutti i lochi:
  Non crediate però che così audace
  L’autor sia, che si metta in questi pochi.
Questo ho sol detto, acciò con vostra pace
  La sua commedia v’appresenti; e innanzi
  Il fin, non dica alcun, ch’ella mi[1] spiace.
Perch’ormai si cominci, e nulla avanzi
  Ch’io ne devessi dir; sappiate come
  La fabula che vuol ponervi innanzi,
Detta Cassaria fia per proprio nome:
  Sappiate ancor, che l’autor vuol che questa
  Cittade Metellino oggi si nome.
Dell’argumento, che anco udir vi resta,
  Ha dato cura a un servo detto il Nebbia.
  Or da parte di quel che fa la festa,
Priega chi sta a veder, che tacer debbia.




ATTO PRIMO.



SCENA I.

EROFILO giovane, NEBBIA servo.


Erofilo.     Così ve n’andrete, come io v’ho detto, a trovare Filostrato, e farete tutto quello che vi comanderà, e per modo che non mi venga di voi richiamo altramente. Ma dove è rimasto il mio pedagogo, il mio maestro, il mio custode sag-


  1. Così nelle antiche stampe. Il Barotti credè nondimeno dover correggere: gli spiace.
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