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atto quarto. — sc. ii. | 177 |
Le robe altrove.
Crisobolo. Andiamo ora. Deh! fermati,
Ch’un’altra via mi s’appresenta, e vogliola
Pigliar.
Volpino. Qual’altra miglior potrebb’essere
Di questa, e più sicura?
Crisobolo. Vien qui, Nespolo;
Va sino a casa di Critone, e pregalo
Da parte mia, che a me qui venga subito,
E meni seco il fratello e suo genero,
Se v’è, alcun altro delli suoi: ma affrettali
Che vengan ratti: io qui gli aspetto. Spacciati,
Vola.
Volpino. Che ne vuoi far?
Crisobolo. Che testimonii
Mi sien qua dentro, ove entrar mi delibero
Senza aspettar bargello, e sopraggiungere
Improvviso al ruffiano, e ritrovandoci
La cassa, senza altrui mezzo, pigliarmela;
Che ovunque io trovo la mia roba, è licito
Ch’io me la pigli. S’a quest’ora andassimo
Al capitano, so che vi andaressimo
Indarno: o che ci farebbe rispondere
Che volesse cenare; o ci direbbono
Che per occupazioni d’importanzia
Si fosse ritirato.[1] Io so benissimo
L’usanze di costor che ci governano;
Che quando in ozio son soli, o che perdono
Il tempo a scacchi, o sia a tarocco o a tavole,
O le più volte a flusso e a sanzo,[2] mostrano
Allora d’esser più occupati. Pongono
All’uscio un servidor per intromettere
Li giocatori e li ruffiani, e spingere
Gli onesti cittadini in dietro, e gli uomini
Virtuosi.
Volpino. Se gli facessi intendere
Che tu gli avessi a dir cose che importano,