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atto quarto. — sc. v. 183
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SCENA V.

LUCRAMO, CRISOBOLO, CHITONE, FULCIO, VOLPINO.


Lucramo.A questo modo, uomo dabben, si trattano
I forestieri?
Crisobolo.                    I cittadin si trattano
A questo modo, latron?
Lucramo.                                        Non ti credere
Che passar me ne debbia così tacito:
Me ne dorrò sin al cielo.
Crisobolo.                                        Dolermene
Tanto alto già non voglio io, ma dorròmmene
Ben in loco ove la tua sceleraggine
Sarà punita.
Lucramo.                    Non ti dar a intendere,
Se ben io son ruffian, che non abbia essere
Udito...
Crisobolo.          Ancora hai di parlar audacia?
Lucramo.E ch’io non abbia lingua per esprimere
La ragion mia.
Crisobolo.                         Cotesta un palmo mettere
Ti farà il boja fuor di bocca. E che? essere
Potría più audace, se avesse trovata la
Sua roba in casa mia, come io trovata la
Mia[1] ho qua dentro in casa sua?
Lucramo.                                                       Vogliomi
Porre e vô che li miei tutti si pongano
Al tormento, e farò a qual vogli giudice
Chiaro constar, che questa cassa datami
Ha un mercatante pegno, finchè ’l prezio,
Che ci siam convenuti d’una femmina
Che da me innanzi comperò, mi numeri.
Crisobolo.Ancora ardisci aprir la bocca, pubblico
E manifesto ladro?
Lucramo.                                Chi è più pubblico
E manifesto di te, che venendomi
A rubar, meni teco i testimonii?
Crisobolo.Ghiotton, se tu non parli con modestia...


  1. Forse il Pezzana (che altri seguirono), disgustato di tanti ïati, ebbe qui aggiunto pur.
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