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atto quarto. — sc. vii. | 189 |
Volpino, non andar ancora, fermati
Un poco. Non disse il ruffian, che datagli
Avea la cassa un mercatante? E non ci lo
Dipinse (s’io non son senza memoria)
Ch’era vestito a questo modo proprio?
Volpino.Che? tu ti vuoi fondar su quel che dettoti
Abbia il ruffian?
Crisobolo. Nè te, Volpino, giudico
Miglior terreno, in ch’io mi fondi. Vogliola
Far altrimente. Gallo, Negro, Nespolo,
Tenetemi costui saldo, e legatelo.[1]
Volpino.Perchè?
Crisobolo. Vô al capitano di giustizia
Mandarlo, per provar se buon rimedio
Fosse la fune a sanarlo del mutolo.
Volpino.Non so certo io, patrone, s’egli è mutolo?
Se pur vuoi meglio anco chiarirti, dammelo,
Ch’io ’l menerò al ruffiano, acciò vedendolo,
Dica se gli è il mercatante che data gli
Abbia la cassa: chi ’l può me’[2] conoscere?
Crisobolo.Io voglio che la fune abbia a chiarirmene
Del capitano, e non altri. Spacciatevi:
S’altro non c’è da legarlo, portate la
Fune del pozzo. Questa è buona. Legali
Le mani dietro. Or, col malanno, levagli
Prima di dosso la mia veste.
Trappola. Scusami,
Volpino: finchè le parole andavano
E le minacce attorno, nè venivasi
A’ fatti, t’ho servito...
Volpino. (Oimè, oimè, misero
Volpino! )
Trappola. Ma per te già non voglio essere
Nè storpiato nè morto.
Crisobolo. Per dio, merita
Questa fune esser posta nel catalogo
De’ Santi, poi c’ha risanato un mutolo.
Crederesti, Volpino, che avvolgendola
Al collo a te, potesse far miracolo