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atto quarto. — sc. ix. 193
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Lucramo.Che dice?
Fulcio.                  Sì che almen non v’abbia a mettere
La vita.
Lucramo.               Oimè!
Fulcio.                           Benchè v’è più pericolo
Che sicurezza di salvarla. Vogliolo
Ogni modo avvisar.
Lucramo.                                   Non bussar, Fulcio,
Ch’io son qui, se di me tu cerchi.
Fulcio.                                                            O misero,
O infelice, o sciagurato Lucramo!
Che fai tu che non fuggi?
Lucramo.                                             Per che diavolo
Ho da fuggir?
Fulcio.                         O poverello! lievati,
Lievati di qui tosto; fuggi, asconditi.
Lucramo.Perchè vuoi tu ch’io fugga?
Fulcio.                                                  Sarai subito
Subito appeso, meschin, se ti trovano.
Fuggi; che tardi?
Lucramo.                               Chi mi farà appendere?[1]
Fulcio.Mio patron, il capitan di giustizia.
Fuggi, ti dico: ancor stai? fuggi, misero!
Lucramo.E che ho io fatto che le forche meriti?
Fulcio.Tu hai robato il tuo vicin Crisobolo.
Lucramo.Cotesto è falso.
Fulcio.                           Ed esso ritrovatoti
Con testimoni (e con che testimonii!)
Ha il furto in casa. Ed anco badi? Levati,
Lévati, e fuggi ratto, e fuggi subito.
Tu non ti muovi ancor?
Lucramo.                                          Se vorrà intendere
Il tuo patron la ragion mia...
Fulcio.                                                    Non perdere
Tempo, non star a dir parole, povero
Uomo che sei! lievati, va col diavolo;
Che non hai il bargel lontano quindici
Braccia, il qual ha commissïon di subito


  1. Così la stampa del Giolito. Le altre mutarono, cominciando dal Bortoli, preso, nel precedente verso, e qui prendere; senza por mente a quell’altro non lontano: «E che ho io fatto che le forche meriti?» e all’insistere di Fulcio per tutto il rimanente della scena.
ariosto.Op. min. — 2. 17

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