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196 la cassaria.

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E quanto il nome di ruffiano in odio
Sempre mai gli sia stato.
Erofilo.                                            Pur, sentendosi
Innocente...
Fulcio.                       Che più? Voglio concederti
Che sia, com è, di questo innocentissimo:
Di quanti altri infiniti maleficii,
E d’ogni sorte, pensi che colpevole
Egli sia; del minor de’ quali merita
Mille, e non pur una forca? Gli è il diavolo[1]
Lasciarsi mettere in prigione, e mettere
Alla tortura un suo par, conoscendosi
Ribaldo: chè se ben d’una calunnia
Si purgasse, anderebbe a gran pericolo
Di scoprire altri delitti, che facile-
mente dannare a morte lo farebbono.
Erofilo.Tu di’ ch’andò a ritrovar alla camera
Caridoro? Come ebbe così animo
Di condurvisi?
Fulcio.                          Io gli diedi ad intendere,
Che ’l signor mio patron voléa che subito
S’impiccasse a ogni modo; e non potendolo
Aver la notte, non voléa si aprisseno
Le porte l’altro giorno; e un bando pubblico
Si dovéa far, sotto pene gravissime,
Che chi sapesse o avesse qualche indicio
Di lui, rappresentasse alla giustizia.
Con queste ciance ed altre senza numero,
A tal disperazion trassi quel povero
Sciagurato, che non è precipicio
Tant’alto al mondo, donde traboccatosi
Non fosse per fuggir. Io poi, fingendomi
Desideroso di salvarlo, diedigli
Per lo miglior consiglio, che ricorrere
Avesse a Caridoro, il qual nascondere
Lo potría, e non avrebbe, come avrebbono
Gli altri, paura, dandogli ricapito,
D’esser punito dal padre; e che essendogli,
Com’era, amico e benigno e piacevole,
Non negaría, finchè un poco la collera


  1. Vedi la nota al luogo corrispondente della Commedia in prosa (p. 49).
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