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atto quinto. — sc. i. | 197 |
Si acchetasse del padre, di nasconderlo.
Erofilo.E così ve lo conducesti?
Fulcio. Seppigli
Cicalar tanto, che vel trassi all’ultimo.
Vorrei che innanzi a Caridor vedutolo
Avessi, tutto tremebondo e pallido!
Gli cadean come a fanciullo le lacrime:
Come pregava e supplicavagli umile-
mente ch’avesse della sua disgrazia
Compassïon! le ginocchie abbracciavagli,
Gli baciava li piedi; profferivagli
Non solamente di donar la giovane,
Ma tutto ciò ch’aveva al mondo; ed essergli
Schiavo in eterno.
Erofilo. Ah, ah, tu mi fai ridere.
Fulcio.Vorrei che Caridor veduto simile-
mente tu avessi, che molto difficile
Si mostrava, e fingéa temer d’incorrere
In ira al padre, e all’incontro pregavalo
Che andasse altrove, e che non volesse essere
Cagion di porlo a quell’uomo in disgrazia,
Il qual dovéa, più che quant’altri fussino
Al mondo, amare e avere in riverenzia.
Erofilo.Ah, ah.
Fulcio. Vorrei che me raccomandarglilo
Veduto avessi, e a Caridoro mettere
Partiti e modi innanzi, che, tenendoli,
Senza suo biasmo lo potría soccorrere.
Erofilo.Ah, ah, per dio, saría stato impossibile
Che ritenuto mi fossi da ridere.
Fulcio.Al fine, io diedi per consiglio a Lucramo,
Che facesse venir quivi la giovine,
Perchè meglio potría con la presenzia
Di lei, che con prieghi e profferte, muovere
Ad ajutarlo Caridoro. Piacqueli
Il mio ricordo, e scrisse questa polizza[1]
Di sua mano, e il suo anel per segnal diedemi:
E così vengo per menar la giovane:
La giunta della qual farà bonissimo
Effetto.
- ↑ Nell’ediz. del Giol.: polliza.
17° |
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