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218 i suppositi.

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ATTO PRIMO.



SCENA I.

BALIA, POLINESTA.


Balia.Non ci veggo persona; sicchè vientene
Pur qui fuor, Polinesta, e riguardiamoci
D’intorno. Così almeno potremo[1] essere
Sicure che nessun n’oda. Credo abbiano
Qui dentro orecchie le panche, le tavole,
Le casse e i letti.
Polinesta.                            Vi dovreste aggiungere
L’urne,[2] i tegami, i boccali e le pentole,
Che l’hanno similmente; e più lor pajono.[3]
Balia.Tu pur motteggi? In fè di Dio, sarebbeti
Meglio non esser così pazza. E credimi,
Io te l’ho detto mille volte, guardati
Di parlar con Dulippo che ti vegghino.
Polinesta.E perchè non volete che mi vegghino,
Se mi veggon parlar con gli altri?
Balia.                                                       Or seguita
Pur a tuo modo, e, per tua trascuraggine,
E me e Dulippo e te stessa precipita.
Polinesta.Maisì, per dio, ci è bene un gran pericolo!
Balia.Tu te ne avvederai. Ti dovrebbe essere
Pur a bastanza, ch’ogni notte e tacita-
mente per mezzo mio tu stia a gran comodo
Con essolui, quantunque di malissima
Voglia lo fo; ch’io vorrei che ’l tuo animo
Si fosse posto in amor più orrevole.[4]
Ben mi duol che, lasciando tanti gioveni
Degni da parte che amata ti avrebbono
E tolta per moglier, scelto abbi un povero


  1. Ediz. Giol. e Bort., men bene: potemmo.
  2. Sembra che questa voce vivesse ne’ tempi dell’Ariosto, nel senso di Orciuolo, Mezzina, o simil cosa. È chiaro l’equivoco del nome orecchie nel senso di anse o manichi di un vaso.
  3. E sono in quelle più appariscenti, o visibili.
  4. Così le più antiche edizioni.
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