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atto secondo. — sc. i. 233
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Io me ne uscii dalla porta degli Angeli,[1]
Con animo d’andar fin sul Polesine
A fornir certo mio pensier: ma fecemi
Questo ch’io vi dirò, mutar proposito.
Giunto ch’io fui per passare a Garofalo,
Io vidi un gentiluom scender dall’argine;
Uomo attempato, il quale ha assai buon’aria.
Ei mi saluta, io ’l saluto; domandogli
E donde viene e dove va; rispondemi
Che da Vinegia viene e poi da Padoa,
E che ritorna a Siena ch’è sua patria.
Io, come so ch’egli è senese, subito
Facendo un viso ammirativo, dicogli:
— Oh! voi sete da Siena, ed avete animo
Di venir a Ferrara? — E perchè, domine.
Non vi debbo venir? — dice, tremandogli
Però la voce. Ed io: — Dunque il pericolo
Voi non sapete a che siate, venendoci,
Qualvolta per senese vi conoschino? —
Ed egli tutto stupefatto e timido
Si ferma allora, e mi prega di grazia,
Che questa cosa tutta a pieno gli esplichi.
Dulippo.Io non intendo questa trama.
Erostrato.                                               Credovi.
Udite pur.
Dulippo.                  Séguita pur.
Erostrato.                                        Soggiungoli:
— Perchè, gentiluom mio, già nella patria
Vostra, in quel tempo ch’io vi stavo a studio,
Son stato molto accarezzato, debita-
mente sono a i Senesi inclinatissimo;
E però, dove io possa il danno e ’l biasimo
Vostro vietar, non piaccia a Dio ch’io ’l tolleri.
Non so perchè non sappiate l’ingiuria
Che a questi dì vostri Senesi feceno
A certi ambasciadori del duca Ercole,
Che da Napoli in qua se ne tornavano. —
Dulippo.Che favole son queste? che appartengono


  1. Porta di Ferrara, così nominata dalla vicina chiesa di Santa Maria degli Angeli; per la quale, prima che si chiudesse, si andava dirittamente al Po di Lombardia; dove più oltre sette miglia, trovasi la villa detta Garofalo, che confina col Polesine di Rovigo. — (Barotti.)

20°

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