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240 | i suppositi. |
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SCENA IV.
CARIONE famiglio, OLEANDRO e DULIPPO.
Carione.O padron, ch’ora è questa fuora d’ordine
D’andare a cerco?[1] Credo che si stuzzichi
Ormai li denti, non vô dir che desini,
Ogni banchiere, ogni ufficiai di camera,[2]
Che sono a uscir di piazza sempre gli ultimi.
Cleandro.Io son venuto per trovar Pasifilo,
Acciò desini meco.
Carione. Come fussimo
Pochi sei bocche che siamo, e aggiungendovi
La gatta, sette, a mangiar quattro piccioli
Luccetti, che una libbra e mezza pesano
Appena tutti insieme; ed una pentola
Di ceci mal conditi, e venti sparagi,
Che, senza più, in cucina s’apparecchiano
Per voi e tutta la famiglia pascere.
Cleandro.Temi, lupaccio, che ti manchi?
Carione. Temone
Pur troppo.
Dulippo. (Non debbo uccellare e prendermi
Piacer di questo vecchio?)
Cleandro. Dee dunque essere
La prima volta.
Dulippo. (Che dirò?)
Carione. Rincrescemi
Della famiglia, e non già del mio incomodo;
Chè quel, con che temporeggiar potríano
E con pane e coltello un poco i poveri
Famigli, tutto in duo boccon Pasifilo
Trangugiar debbia, nè rimaner sazio;
Chè voi e con la pelle mangerebbesi,
E con l’osso la mula vostra, ed anco la
Carne, s’avesse pur carne la misera.
Cleandro.Tua colpa che sì ben n’hai cura.
Carione. Datene