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atto secondo. — sc. iv. 243
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Ed aprila tu stesso:[1] così giuroti
Di non parlarne con persona. Or dimmelo.
Dulippo.Io vel dirò. M’incresce che Pasifilo
Vi uccelli; che il ghiotton vi dia ad intendere
Che per voi parli, e tuttavía in contrario
Insti col mio padrone, e che lo stimuli
Che dia per moglie la figliuola a un giovene
Scôlar sicilïano, che si nomina
Arosto, Rospo, o Grosco: io nol so esprimere;
Ha un nome indiavolato.
Cleandro.                                        Chi è? Erostrato?
Dulippo.Sì sì, così si chiama: e dice il perfido
Di voi tutti li mali che si possono
Dir d’alcun uomo infame.
Cleandro.                                        A chi?
Dulippo.                                                  A Damonio,
Ed anco a Polinesta.
Cleandro.                                 È egli possibile?
Ah ribaldo! e che dice?
Dulippo.                                        Immaginatevi
Quel che si può dir peggio: che il più misero
E più strett’uom non è di voi.
Cleandro.                                                  Pasifilo
Dice cotesto di me?
Dulippo.                                Che venendovi
A casa, ha da morir, per avarizia
Vostra, di fame.
Cleandro.                         Oh, che sel porti il diavolo!
Dulippo.E che il più fastidioso e più collerico
Uomo del mondo voi siete, e distruggere
La farete d’affanno.
Cleandro.                                 Oh lingua pessima!
Dulippo.E che tossite e sputate continua-
mente dì e notte, con tanta spurcizia,
Che i porci di voi schifi diverrebbono.
Cleandro.Non tosso pur, nè mai sputo.
Dulippo.                                              È chiarissimo.
Or me n’avveggo.
Cleandro.                            È ver, ch’or son gravissima-
mente infreddato: ma chi n’è ben libero
Di questo tempo?


  1. Vedi la nota 1 a pag. 80.
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