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250 i suppositi.

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Dulippo, e, simulando altro, accostatevi
A lui, e tutti in un tratto mettetegli
Le mani addosso, e prendetelo; e subito,
Con quella fune che sopra la tavola
A questo effetto ho lasciata, legategli
E le mani e li piedi; indi portatelo
Sotto la scala, in quella stanza piccola,
E serratevel dentro, e riportatemi
La chiave, che lasciata pel medesimo
Effetto ho nella toppa. Andate, e fatelo
Più chetamente che vi sia possibile:
Poi torna immantinente a me tu, Nevola.
Nevola.Sarà fatto.
Damonio.                    Ma fatel senza strepito. —
Come debb’io di così grave ingiuria,
Ahi lasso! vendicarmi? Se supplicio
Darò a costui, secondo i suoi demeriti,
E che ricerca l’ira mia giustissima,
Io ne sarò dalle leggi e dal prencipe
Punito; ch’a un privato non è lecito
Farsi ragion d’autorità sua propria.
S’al podestà, s’al duca o a’ secretarii
Mi vo a dolere, il disonor mio pubblico.
Dehl che pens’io di far? Quando ogni strazio
Facess’io di costui che sia possibile,
Non potrò far però, ch’egli non abbi la
Figliuola vïolata, e ingravidatola
Fors’anco, e ch’io non abbia questo obbrobrio
E questa macchia su gli occhi in perpetuo.
Ma di chi, di chi voglio fare istrazio?
Io, io son quel ch’esser punito merito,
Che m’ho fidato di lasciarla in guardia
Di questa vecchia puttana, sua balia.
S’io le volevo pôr buona custodia,
Custodir la dovevo io di continuo;
Farla sempre dormir nella mia camera,
Nè in casa tener mai famigli gioveni,
Nè le mostrare unqua un buon viso. O mogliema,[1]
Or ben conosco che danno, che perdita
Feci di te, quando rimasi vedovo!


  1. Ediz. Giol. e Bort.: moglima.
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