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252 i suppositi.

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Potesse, che con quel poco salario
Che dal patrone ha costui, sì onorevole-
mente vestir si potesse. Or comprendone
La causa: avéa cura egli dello spendere
E di tenere i conti e del riscuotere;
Le chiavi de’ granari in sua mano erano.
Dulippo di qua, Dulippo di là; intimo[1]
Egli al patrone; egli ai figliuoli in grazia:
Era fa il tutto;[2] egli d’oro finissimo,
Di fango éramo noi altri, e di polvere.
Or vedi ciò che gli interviene all’ultimo!
Gli sarebbe, per dio, stato più utile
A non far tanto.
Pasifilo.                          Tu di’ il vero, Nevola,
Che glie l’ha[3] fatto troppo.
Nevola.                                           Donde diavolo
Esci tu?
Pasifilo.             Esco dalla casa propria
Che tu, ma non per quell’uscio medesimo.
Nevola.Dove eri tu? Già un pezzo credevamoci
Che ti fossi partito.
Pasifilo.                              Essendo a tavola
Mi sentíi in corpo non so che, che correre
Ratto mi fe alla stalla; ove poi presemi
Il maggior sonno ch’io avessi già quindici
Giorni, e forza mi fu quivi a distendere
Sopra la paglia, dove ho poi continua-
mente dormito. E tu, dove vai?
Nevola.                                                    Mandami
In gran fretta il padrone in un servizio.
Pasifilo.Si può egli dir?
Nevola.                         No.
Pasifilo.                                 Quasi più informatone
Di me fuss’egli! Oh Dio, che cosa, standomi


  1. Potrebbe porsi attenzione a questo passo, per rispetto al metodo che già tenevasi nel tessere i versi da commedie. La libertà del traslogare gli accenti, la niuna osservanza delle elisioni, delle dieresi e delle sineresi, erano, più che licenze, artifizi, per meglio imitare la prosa. Qui, per esempio, l’accento metrico cade sulla prima sillaba del secondo Dulippo, e sparisce del tutto l’avverbio , benchè gravemente accentato.
  2. Vedi la nota 1 a pag. 86.
  3. Così le antiche stampe (gle l’ha). Le più moderne, cominciando dal Barotti: Ch’egli l’ha.
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