Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
atto quarto. — sc. iii. | 259 |
Fan le più volte. Io pensai che mandandolo
Fuor di casa, dovesse rimanersene:
Ma non pensai che tanto poi rincrescere
Me ne dovesse. Il confortai che a studio
Andasse, e posi in suo libero arbitrio
Di andar ovunque più gli desse l’animo:
Così venne egli qui. Non credo giuntoci
Fusse anco, che mi prese una molestia,
Un affanno, un dolore intollerabile.
Da indi in qua, credo che stati siano
Poche notti questi occhi senza piangere.
Io l’ho pregato poi per cento lettere,
Che se ne torni a casa, nè mai grazia
Ho avuto d’impetrarlo: anzi rispondemi
Sempre pregando ch’io lasci che seguiti
Lo studio, dove in brieve ha indubitabile
Speranza riuscire eccellentissimo.
Ferrarese.In verità, molti scolari ed uomini
Degni di fede sento che ’l commendano;
Nè studente è di lui di maggior credito.
Filogono.Che bene speso abbia il tempo, n’ho gaudio:
Pur non mi curo di tanta scïenzia.
Star lontano per questo anco dovendomi
Qualche anno. Chè, se in tanto non essendoci
Lui, io venissi a morte, io morrei, credomi,[1]
Disperato; e per questo mi delibero
Menarlo meco.
Ferrarese. L’essere amorevole
Ai figli è cosa umana; ma biasmevole
E femminile è l’esserne sì tenero.
Filogono.Or, io son così fatto. Ancora vogliovi
Dire un’altra cagion di più importanzia,
Che m’ha fatto venir. Quattro o cinque uomini
Son venuti in più volte di Catanea
In questa terra, per varî negocii;
E tutti, chi una e chi due volte, dicono
Essere andati per trovar Erostrato
A casa, e mai non hanno avuto grazia
Di poterlo veder: per questo dubito
Che non si occupi tanto in queste lettere,
- ↑ Il Barotti, il Pezzana ed altri: credimi.