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264 | i suppositi. |
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SCENA VI.
FILOGONO, LIZIO, FERRARESE.
Filogono.Lizio, che te ne par?
Lizio. Che può parermene,
Se non mal? Mai non m’è piaciuto, a dirvi la
Verità, questo nome Ferrara: eccovi
Che ben gli effetti secondo il nome escono.
Ferrarese.Hai torto a dir mal della nostra patria.
Che colpa n’ha questa città? Non senti tu
All’idioma, al parlar, che non debb’essere
Ferrarese costui che vi fa ingiuria?
Lizio.Tutti n’avete colpa; ma più debbesi
Dare a li vostri rettori, che simili
Barreríe nella terra lor comportano.
Ferrarese.Che san di questo li rettori? Credi tu
Che intendino ogni cosa?
Lizio. Anzi, che intendino
Poco e mal volentier, credo, e non voglino
Guardar se non dove guadagno veggono;
E le orecchie più aperte aver dovrebbono,
Che le taverne gli usci la domenica.
Filogono.Parla dei pari tuoi, bestia.
Lizio. Una coppia
Sarem, se Dio non ci ajuta, di bestie.
Filogono.Che farem?
Lizio. Lodarei che noi cercassimo
Di ritrovare in altra parte Erostrato.
Ferrarese.Io vi farò compagnia di buonissima
Voglia: o alle scuole[1] il troveremo, o al circulo
In vescovato.
Filogono. Io sono stanco; vogliolo
Più tosto aspettar qui: forza è che capiti
Qui finalmente.
- ↑ Il Barotti non seppe dirci con esattezza dove allora fossero le pubbliche scuole, delle quali qui parla il poeta. Per circolo in vescovato intese «qualche pubblica disputa, perchè si solesse a que’ tempi tener colà le conclusioni, come in luogo più comodo o più capace; o qualche funzione di dottorato, perchè allora, come anche di poi, si costumasse di farle nel palazzo del vescovo.»