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atto quinto. — sc. ii. | 271 |
SCENA II.
PASIFILO, e detto.
Pasifilo.(Due novelle ho sentite a me gratissime:
L’una, che in casa di messere Erostrato
Si apparecchia un convito solennissimo;
L’altra, ch’egli mi cerca. Io per levargli la
Fatica d’ir di qua e di là cercandomi;
E perchè ov’è di buono, e in abbondanzia
Si mangi, non è alcun che più desideri
D’intervenir di me, vengo in grandissima
Fretta per ritrovarlo a casa: ed eccolo.)
Erostrato.Fammi un piacer, se tu m’ami, Pasifilo.
Pasifilo.Chi v’ama più di me? chi ha desiderio
Più di me di servirvi? Comandatemi.
Erostrato.Va costà un poco in casa di Damonio,
E domanda Dulippo, e digli...
Pasifilo. Avvisovi,
Che non potrò parlargli, chè gli è[1] in carcere.
Erostrato.Come in carcere? e dove?
Pasifilo. In luogo pessimo:
Non più.
Erostrato. Sáine la causa?
Pasifilo. Non più: bastivi
Aver da me saputo che gli è in carcere.
Io ve n’ho pur troppo detto.
Erostrato. Pasifilo,
Vô che mi dichi il tutto, se mai grazia
Pensi di farmi.
Pasifilo. Non vogliate astringermi.
Che tocca a voi saperlo?
Erostrato. Assai, Pasifilo;
Più che non credi.
Pasifilo. Ed anco più che credere
Voi non potreste, tocca ad altri starsene
Cheto.
Erostrato. Cotesta è la fede, Pasifilo,
C’ho in te? l’offerte tue così riescono?
Pasifilo.Digiunato avess’io più tosto, e statomi
- ↑ Ant. stamp.: che l’è.