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282 | i suppositi. |
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SCENA VIII.
PASIFILO, DAMONIO.
Pasifilo.O Dio! ch’io trovi in casa ora Damonio!
Damonio.(Che vuol da me?)
Pasifilo. Ch’io giunga primo a dirglielo.
Damonio.(Che mi vuol dire? Onde vien tanto gaudio,
Che così salta?)
Pasifilo. Oh me felice! veggolo
Là nella via.
Damonio. Che novella, Pasifilo,
Mi arrechi? D’onde vien tanta letizia?
Pasifilo.Quïete, pace, contento vi annunzio.
Damonio.Ne avrei bisogno.
Pasifilo. Io so che di malissima
Voglia sête d’un caso intervenutovi,
Che forse non pensate che notizia
N’abbia. Ma cessi il duol, fate buon animo;
Che il servitor che v’ha fatto l’ingiuria,
È figliuol di tal uomo che mendarvi la[1]
Può; nè voi, benchè siate ricco e nobile,
Vi avete da sdegnar che vi sia genero.
Damonio.Che ne sai tu?
Pasifilo. Or suo padre Filogono
Di Catanea, che dovete cognoscere
Per fama della sua grande ed amplissima
Ricchezza, è qui arrivato di Sicilia
In casa di questo vicin.
Damonio. Di Erostrato?
Pasifilo.Anzi pur di Dulippo. Ben credevasi
Che questo vicin vostro fusse Erostrato,
E non è; ma colui ch’avete in carcere,
E si facéa nomar Dulippo, Erostrato
Ha nome, ed è il patron. Quest’altro giovene
Scolaro è il servitor; e non Erostrato,
Ma Dulippo si chiama. Così aveano
Tra loro ordito, acciò ch’entrasse Erostrato
In abito di fante alli servizi!
- ↑ Nell’edizione del Giolito, per errore: mandarvila; ma più giustamente il Bortoli: emendarvi la.