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286 | i suppositi. |
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Erede, non ne ho più nè desiderio
Nè bisogno; quando oggi il mio carissimo
Figliuol, che nella presa della patria
Avea perduto, ho trovato, Dio grazia:
Come più ad agio poi vi farò intendere.
Damonio.Il parentado vostro e l’amicizia,
Per molte condizion che in voi si truovano,
Non men desiderar debb’io, Filogono,
Che voi la mia. Così con sincero animo
L’accetto, e sopra a quante me ne fusseno
Offerte mai, o ch’io cercate abbia, essere
Mi dee grata. Il figliuol vostro per genero
E per figliuolo voglio; e voi, Filogono,
Per ottimo parente e onorandissimo.
E tanto più di ciò mi gode l’animo,
Quanto che voi, messer Cleandro, veggone
Rimaner satisfatto: e appresso piacemi
E m’allegro con voi del vostro gaudio,
Di che informato appieno m’ha Pasifilo.
Eccovi il vostro figliuolo e mio genero;
E questa è vostra nuora!
Erostrato. O mio padre!
Pasifilo. Eccovi
Quanto sono a’ figliuoli i padri teneri!
Per soverchia letizia non può esprimere
Pur una sola parola Filogono,
Ed in quel cambio singhiottisce[1] e lacrima.
Ma che volete voi qui far in pubblico?
Andiamo in casa.
Damonio. Ben dice Pasifilo:
Andiamo in casa, e starem con più comodo.
SCENA XII.
NEVOLA, DAMONIO, PASIFILO.
Nevola.Ho portato, padrone, i ferri.
Damonio. Portali
Via.
- ↑ Dal verbo, oggi antico, Singhiottire; che riferisce l’una delle due desinenze usate dai latini, cioè singultire. Così porta la sola edizione del Giolito: in tutte le altre questo verso leggesi: «Ed in quel cambio singhiozzando lagrima.»