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20 | la cassaria. |
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Erofilo. Ben, per dio; il disegno è da succedere.
Volpino. Tu, Caridoro, come il ruffian sia preso, potrai fornir il desiderio tuo per te medesimo; chè mentre li tuoi servi meneranno Lucrano prigione, tu farai della tua Corisca il piacer tuo. Sempre averà di grazia il ruffiano lasciartela in dono, pur che te gli offerischi appresso tuo padre favorevole, sì che almeno non ci lasci la vita.
Caridoro. O Volpino, una corona meriti.
Fulcio. Anzi una mitra e lo stendardo[1] innanzi.
Volpino. Non può, Fulcio, giungere a queste tue degnitati ognuno.
Erofilo. E dove è costui che in forma di mercante vuoi vestire?
Volpino. Mi maraviglio che oramai non sia qui, ma verrà súbito.
Erofilo. Vuoi che lui stesso si porti la cassa in collo?
Volpino. No; ha un conservo con lui, che farà il bisogno. Ma va in casa, ed apparecchia una delle veste di tuo padre; quella che ti par meglio: chè non si perdi tempo.
Caridoro. Ho io qui a far altro?
Erofilo. Ti puoi tornare a casa, che tutto il successo ti farò intendere. Addio.
Caridoro. Addio.
Fulcio. Se non avete altro bisogno di me, anderò con mio patrone.
Erofilo. A tuo piacere.
SCENA II.
VOLPINO, TRAPPOLA, BRUSCO servi.
Volpino. Io devevo pure avere in memoria, che rare volte il Trappola era usato a dire il vero. Io son ben stato sciocco a lasciarmelo tôr da canto fin che non l’abbia qui condotto. Se lui m’averà, come dubito, ingannato, nulla potrò far di quello che disegnato avevo. Ma eccolo, per dio: la mia è stata più ventura che avvertenza.
Trappola. È gran cosa. Brusco, che tu non sappia fare un servizio mai, di che l’uomo te n’abbia avere obligo.
- ↑ Come alla mitera de’ malfattori, così allude al cartello in cui scrivevansi la natura del delitto e la pena a cui era stato condannato il reo. — (Tortoli.)