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ATTO PRIMO.
SCENA I.
CORBOLO E FLAVIO.
Corbolo.Flavio, se la domanda è però lecita,
Dimmi: ove vai sì per tempo? chè suonano
Pur ora i mattutini; nè debb’essere
Senza cagion, che ti sei con tal studio
Vestito e ben ornato, e come bossola[1]
Di spezie, tutto ti sento odorifero.
Flavio.Io vo qui, dove amor mi mena, a pascere
Gli occhi d’una bellezza incomparabile.
Corbolo.E che bellezza vuoi tu in queste tenebre
Veder? Se forse veder non desideri
La stella amata da Martin d’Amelia:[2]
Ma nè quella anco di levarsi è solita
Così per tempo.
Flavio. Nè cotesta, Corbolo,
Nè stella altra del cielo, nè il sol proprio,
Luce quanto i begli occhi di Licinia.
Corbolo.Nè gli occhi della gatta; questo aggiungere
Dovevi ancora, che saría più simile
Comparazion, perchè son occhi, e lucono.
Flavio.Il malanno che Dio ti dia, che compari
Gli occhi d’animal bruto a[3] lumi angelici!
Corbolo.Gli occhi di Cucchiulin[4] più confarebbonsi,
Di Sabbatino, Marïano e simili,
Quando di Gorgadello[5] ubbriachi escono.
- ↑ Così le antiche stampe; e vale il medesimo che Bossolo.
- ↑ La luna. Proverbio usato ancora dal Bibbiena, nel Prologo alla Calandra. — (Barotti.) — Altri dissero essere la stella Diana, o mattutina: il che meglio sembra accordarsi al concetto de’ due seguenti versi.
- ↑ Men bene le antiche stampe: a i.
- ↑ Nella scena quarta dell’atto quinto della Cassaria sono nominati come celebri bevitori a quel tempo in Ferrara Moschino e suoi compagni. Da questo luogo i commentatori arguirono, che Cucchiulino, Sabbatino e Mariano sieno per l’appunto quei compagni di Moschino, i cui nomi altrove si tacciono.
- ↑ Vedi la nota 3 alla pag. 155 del Tom. I.