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atto primo. — sc. iii. 299
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Che con sì poca vergogna e tanto avida-
mente facesse il suo ribaldo officio.
Ma si fa giorno: per certo non erano
Li mattutini quelli che suonavano;
Esser dovea l’ave maria o la predica;
O forse i preti iersera[1] troppo aveano
Beuto, e questa mattina erant oculi
Gravati eorum. Credo che anco Giulio
Non potrò aver, che la mattina è solito
Di dormir fino a quindici ore o sedici.
In questo mezzo sarà buono andarmene
Fin in piazza, a veder se quaglie o tortore
Vi posso ritrovare; e ch’io le comperi.




ATTO SECONDO.



SCENA I.

FAZIO, poi LENA.


Fazio.Chi non si leva per tempo e non opera
La mattina le cose che gl’importano,
Perde il giorno, e i suoi fatti non succedono
Poi troppo ben. Menghin, vô ch’a Dugentola[2]
Tu vada, e che al gastaldo facci intendere
Che questa sera le carra si carchino,
E che doman le legna si conduchino;
E non sia fallo, ch’io non ho più ch’ardere.
Nè ti partir, che vi vegghi buon ordine;
E dir mi sappi come stan le pecore,
E quanti agnelli maschi e quante femmine
Son nate: e fa che li fasci ti mostrino
C’hanno cavati, e che conto ti rendano
De’ legni verdi c’hanno messo in opera;
E quel che sopravanza, fa che annoveri.


  1. Scriviamo jersera, non colla semivocale, ma colla vocale pretta, dovendo profferirsi: i pret’iersera. Il caso medesimo vedesi rinnovato al terzultimo verso della pag. 311.
  2. Villa del Ferrarese. — (Barotti.)
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