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302 la lena.

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Che venir possa il morbo a mastro Lazzaro,
Che mi arrecò alle man questa casipola!
Ma non ci voglio più star dentro: datela
Ad altri.
Fazio.                Guarda quel che tu di’.
Lena.                                                       Datela;
Non vô che sempremai mi si[1] rimproveri,
Ch’io non vi paghi la pigione ed abiti
In casa vostra: s’io dovessi tôrmene
Di dietro al Paradiso una o nel Gambaro,[2]
Non vô star qui.
Fazio.                              Pensaci bene, e parlami.
Lena.Io ci ho pensato quel ch’io voglio: datela
A chi vi pare.
Fazio.                         Io la truovo da vendere,
E venderòlla.
Lena.                        Quel che vi par fatene;
Vendetela, donatela ed ardetela:
Anch’io procacciarò trovar ricapito.
Fazio.(Quanto più fo carezze, e più mi umilio
A costei, tanto più superba e rigida
Mi si fa; e posso dir di tutto perdere
Ciò ch’io le dono: così poca grazia
Me n’ha! vorría potermi succhiar l’anima.)
Lena.Quasi che senza lui non potrò vivere!
Fazio.(E veramente, oltrechè non mi pagano
La pigion della casa, più di dodici
Altre lire ella e ’l marito mi costano
L’anno.)
Lena.                Dio grazia, io son anco sì giovane,
Ch’io mi posso ajutar.
Fazio.                                      (Spero d’abbattere
Tanta superbia. Io non voglio già vendere
La casa, ma sì ben farglielo credere.)
Lena.Non son nè guercia nè sciancata.
Fazio.                                                        (Voglioci


  1. Ant. stamp.: si (o ) mi.
  2. Paradiso è palazzo, così detto, in Ferrara, ad uso presentemente di Studio pubblico; dietro al quale sono diversi vicoli con casette, ricoveri anticamente di femmine da partito. Il Gambero è un’altra stradella di fianco alla Giovecca, dove abitavano donne simili; com’è detto più espressamente nell’atto V, sc. XI, di questa stessa Commedia. — (Barotti.)
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