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atto secondo. — sc. i, ii. 303
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Condurre o Biagïolo o quel dall’Abbaco
A misurarla, e terrò in sua presenzia
Parlamento del prezzo, e saprò fingere
Un comprator. Non han danar nè credito
Per trovarne alcun’altra: si morrebbono
Di fame altrove. Vô con tanti stimoli
Da tanti canti punger questa bestia,
Che porle il freno e ’l basto mi delibero.)


SCENA II.

LENA.


Vorrebbe il dolce senza amaritudine;
Ammorbarmi col fiato suo spiacevole,[1]
E strascinarmi come una bell’asina,
E poi pagar d’un — gran mercè. — Oh che giovine,
Oh che galante a cui dar senza premio
Debbia piacere! Fui ben una femmina
Da poco, ch’a sue ciance lasciai volgermi
E sue promesse; ma fu il lungo stimolo
Di questo uomo da niente di Pacifico,
Che non cessava mai: — Moglie, compiacilo;
Sarà la nostra ventura: sapendoti
Governar seco, tutti i nostri debiti
Ci pagarà. — Chi non l’avría a principio
Creduto? Maria in monte[2] (come dicono
Questi scolari) promettéa; poi datoci
Ha un laccio che lo impicchi come merita.
Poi che attener non ha voluto Fazio
Quel che per tante sue promesse è debito,
Farò come i famigli che ’l salario
Non ponno aver che co’ padroni avanzano;
Che gl’ingannano, rubano, assassinano.
Anch’io d’esser pagata mi delibero
Per ogni via, sia lecita o non lecita;
Nè Dio, nè il mondo me ne può riprendere.
S’egli avesse moglier, tutto il mio studio
Saría di farlo far quel che Pacifico


  1. Erroneamente le stampe antiche: «col fatto suo piacevole.»
  2. Maria et montes, proverbio noto, qui corrotto per ignoranza. — (Molini.)
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