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atto terzo. — sc. i, ii. | 309 |
Jeri andò in nave a Sabbioncello,[1] e aspettasi
Questa mattina: convien ch’io mi prépari
Di quel c’ho a dir, come lo vegga. Or eccolo
Appunto! questo è un tratto di commedia;
Il nominarlo, ed egli in capo giungere
Della contrada, e in un tempo medesimo.
Ma non vô che mi vegga prima ch’abbia la
Rete tesa dove oggi spero involgerlo.
SCENA II.
ILARIO, EGANO, CORBOLO.
Ilario.Non si dovrebbe alcuna cosa in grazia
Aver mai sì, che potendo ben venderla,
Non si vendesse, solo eccettüandone
Le mogli.
Egano. E quelle ancor, se fosse lecito
Per legge o per usanza.
Ilario. Non che in vendita,
Ma a baratto, ma in don dar si dovrebbeno.
Egano.Di quelle che non fan per te intelligitur.
Ilario.Ita: non è già usanza che si vendano,
Ma darle ad uso par che pur si tolleri.
D’un par di buoi, per tornare a proposito,
Parlo, che trenta ducati, e tutti ungari...
Corbolo.(Questi al bisogno nostro supplirebbono.)
Ilario.Jeri io vendei a un contadin da Sandalo.[2]
Egano.Esser belli dovéan.
Ilario. Potete credere...
Corbolo.(Io gli voglio, io gli avrò.)
Ilario. Che son bellissimi.
Corbolo.(Son nostri).
Ilario. Belli a posta lor: mi piacciono
Molto più questi danari.
Corbolo. (È impossibile
Che non stia forte.)
Ilario. Almen non avrò dubbio
Che ’l giudice alle fosse me li scortichi.[3]