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atto terzo. — sc. ii, iii. | 23 |
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SCENA II.
BRUSCO, TRAPPOLA servi.
Brusco. Spácciati presto. Che avemo da fare altro entro questa sera?
Trappola. Avemo da cenare e stare in gioja.
Brusco. Mi fiacchi il collo, se, come ho posata giù questa cassa, t’aspetto uno attimo.
Trappola. Va poi a piacer tuo. Ma taci, ch’io sento aprir quello uscio, che debbe essere questo il ruffiano, se io non fallo.
SCENA III.
LUCRANO ruffiano, TRAPPOLA.
Lucrano. Meglio m’è uscire di casa, che queste cicale m’assordano, mi rompono il capo, m’occidono con ciance. Voi farete a mio modo fin che vi sarò patrone, al vostro marcio dispetto.
Trappola. (Gli altri hanno i segni di loro arti sul petto,[1] e l’ha costui sul viso!)
Lucrano. Quanta superbia, quanta insolenzia han tutte queste gaglioffe puttane! sempre cercano, sempre studiano di porsi al contrario de’ desiderî tuoi: mai non hanno il cuor se non di rubarti, se non di usarti fraude, se non di mandarti in precipizio.
Trappola. (Mai non udii alcuno altro lodar meglio una merce che vogli vendere!)
Lucrano. Io credo bene, se uno uomo avessi tutti li peccati solo che sono sparsi per tutto il mondo, e che tenessi come me femmine in vendita a guadagno, e che tollerar potessi la lor pratica senza gridare e biastemare ogni dì mille volte cielo e terra, più meriterebbe di questa pazienza sola, che di tutte le astinenzie, di tutte le vigilie, cilicî e discipline che sieno al mondo.
Trappola. (Credo ben, che del tenerle in casa a te sia un purgatorio, a lor misere in starvi sia uno oscurissimo inferno. Ma andiamo innanzi.)
- ↑ Come le meretrici, così i mezzani portavano il segnale della loro rea arte. — (Tortoli.)