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atto terzo. — sc. vii, viii, ix. | 321 |
È già più giorni, io la nettai benissimo,
E posso a mio piacer levare e mettere
Un fondo.
Corbolo. Andiamo dunque: consigliamoci
Con esso lui.
Pacifico. Credo che questi siano
Appunto quei ch’entrar qua dentro vogliono:
Son dessi certo, ch’io conosco il Torbido.
Forniam noi quel ch’abbiamo a far.
Corbolo. Forniamolo.
Pacifico.Dunque vien dentro.
Corbolo. Va là, ch’io ti seguito.
SCENA VIII.
TORBIDO, GIMIGNANO, FAZIO.
Torbido.Poi ch’io l’avrò misurata, la pertica
Mi dirà quanto ella vai, fino a un picciolo.
Gimign.Dunque tal volta le pertiche parlano?
Torbido.Sì; ben anco parlar fanno, stendendole
In sulle spalle altrui. Ma ecco Fazio.
Ch’abbiamo a far?
Fazio. Quel c’ho detto: mettetevi
A misurar quando vi par: cominciano
Qui le confine, e quel segno non passano.
Torbido.Cominciarem qui dunque.
Fazio. Cominciateci.
Torbido.Una: méttevi in capo il coltello.[1]
Gimign. Eccolo.
Torbido.E dua; e questo appresso. Appunto mancano
Dua sesti, chè tre piedi non ponno essere.
Andiamo or dentro.
Fazio. La matita prendere
Potete, e notar questo.
Torbido. Io lo noto; eccolo.
SCENA IX.
GIULIANO.
Or ora su in palazzo ritrovandomi,
Ho veduto segnare una licenzia
Dal sindico, di tôr pegni a Pacifico
- ↑ Significazione non osservata.