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SCENA IV.

CORBACCHIO, NEGRO, GIANDA, NEBBIA, MORIONE.


Corbacchio.     Gentile e liberale giovene è Filostrato veramente.

Negro.     Questi sono uomini da servire, che dànno da lavorar poco e da ber molto.

Corbacchio.     E che merenda ci ha apparecchiato!

Morione.     Parliamo del vino, che m’ha per certo tocco il cuore.

Corbacchio.     Non credo che ne sia un migliore in questa terra.

Morione.     Vedesti mai il più chiaro, il più bello?

Corbacchio.     Gustasti mai tu il più odorifero, il più soave?

Gianda.     E di che possanza! vale ogni danajo.

Corbacchio.     N’avess’io questa notte uno orciuolo al piumaccio!

Gianda.     N’avess’io innanzi in mio potere le botte!

Morione.     Deh venisse ogni dì volontà al patrone di prestare la nostra opera a Filostrato, come ha fatto oggi!

Gianda.     Sì, se ci avesse ogni dì a far godere così bene.

Corbacchio.     Io non so come per la parte vostra vi state voi: io per la mia così mi sento allegro, che mi par ch’io non possa cápere nella pelle.

Gianda.     Credo che siamo a un segno tutti.

Nebbia.     Così ci fussimo quando tornerà il vecchio! Tutti al bere e al trangugiare[1] siamo stati compagni; a me solo toccherà, come lui ritorni, a pagare il vino, e a patire.

Gianda.     Non ti porre affanno, bestia, del male che ancor non hai; non trar di culo[2] prima che tu non sia punto: che sai tu quel che abbia a venire?

Nebbia.     Non son già profeta nè astrologo; ma tu vedrai, come in casa siamo, che sarà tutto successo come oggi ti predissi.

Gianda.     Io t’ho detto oggi, ed ora te lo ridico di nuovo, che ti cerchi di fare amico Erofilo, e vedrai succeder bene i


  1. Per errore, le antiche stampe: trangosciare.
  2. Modo non ispiegato, nè facile da spiegarsi. Ove dell’uomo s’intenda, potrebbe dire: non ritrarre il di dietro in avanti, quasi facendo arco della pancia; ove di bestie: non tirar calci.
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