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atto primo. — sc. ii. | 359 |
Fazio. Ben ricordar potrebbeti
D’una fanciulla che ci abbiam da piccola
Allevata e tenuta cara, e amiamola
Più che figliuola.
Lippo. Vostra riputavola.
Fazio.Nostra figliuola ella non è: lasciataci
Fu da sua madre, la qual capitataci
In casa inferma, dopo dieci o dodici
Giorni che v’alloggiò, si morì.
Lippo. Avetela
Ancora maritata?
Fazio. Maritatala
Avevamo, e sì bene, che pochissimi
Partiti in questa terra si trovavano
Miglior di quello: poi c’è entrato il diavolo
Dentro, sì che talor vorrei non essere
Nato.
Lippo. M’incresce d’ogni tua molestia.
Fazio.Ben ne son certo.
Lippo.E se in ciò far servizio
Ti posso, mi comanda.
Fazio. Ti ringrazio.
Lippo.E s’io sapessi il caso, e potessi utile
Farti o di fatti o di parole, avrestimi,
Quanto altro amico abbi al mondo, prontissimo.
Fazio.Se quando ero a Firenze, Lippo, amavoti
Quanto me stesso, e s’ancor mai nasconderti
Non volsi nè potéi cosa che in animo
Avessi; io non voglio ora, che l’assenzia
Di cinque anni o di sei possa del solito
Suo aver mutata la benivolenzia
Mia verso te, e ch’in te la mia fiducia
Non sia in Cremona quale era in la patria.
Lippo.Io ti ringrazio di queste amorevoli
Parole e buona volontà; e certissimo
Render ti puoi che da me n’abbi[1] il cambio.
E sia quel che si voglia, che nell’intimo
De’ miei segreti pôr ti paja, ponloci
Sicuramente; che dipositario
- ↑ Così, col Barotti, i moderni editori. Le antiche stampe, con duro suono e troppo facile scambio: da me riabbi.