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370 il negromante.

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ATTO SECONDO.



SCENA I.

NIBBIO.


Per certo, questa è pur gran confidenzia
Che mastro Jachelino[1] ha in sè medesimo,
Chè mal sapendo leggere e mal scrivere,
Faccia professïone di filosofo,
D’alchimista, di medico, di astrologo,
Di mago e di scongiurator di spiriti:
E sa di queste e dell’altre scïenzie,
Che[2] sa l’asino e ’l bue di sonar gli organi;
Benchè si faccia nominar lo astrologo
Per eccellenza, sì come Virgilio
Il poeta e Aristotile il filosofo.
Ma con un viso più che marmo immobile,
Ciance, menzogne, e non con altra industria,
Aggira ed avviluppa il capo agli uomini;
E gode e fa godere a me (ajutandoci
La sciocchezza, che al mondo è in abbondanzia)[3]
L’altrui ricchezze. Andiamo come zingari
Di paese in paese, e le vestigie
Sue tuttavía dovunque passa restano
Come della lumaca, o, per più simile
Comparazion, di grandine o di fulmine:
Sì che di terra in terra, per nascondersi,
Si muta nome, abito, lingua e patria.
Or è Giovanni, or Pietro; quando fingesi
Greco, quando d’Egitto, quando d’Africa:
Ed è, per dire il ver, giudéo d’origine,
Di quei che fûr cacciati di Castilia.
Sarebbe lungo a contar quanti nobili,
Quanti plebei, quante donne, quanti uomini,


  1. I moderni, com’era ben da credersi, ammodernarono: Giachelino; e: Giacchelino.
  2. Quello che. Sembra che primo il Pezzana mutasse, d’arbitrio: Quanto l’asino ec.
  3. Imitazione del petrarchesco: «Infinita è la turba degli sciocchi.»
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