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atto secondo. — sc. iii. | 377 |
Astrologo. Ho ben meco una lettera,
Ch’ella vi scrive.
Camillo. Chè cessate darmela?
Astrologo.La volete vedere?
Camillo. Io ve ne supplico.
Nibbio.(Questa esser dê la lettera che scrivere
Gli viddi dianzi: or gli darà ad intendere
Che scritta di man sua gliel’abbia Emilia.)
Camillo.Di quelle man, più che di latte candide,
Più che di neve,[1] è uscita questa lettera?
Nibbio.(Uscita è pur di man rognose e sucide
Del mio padron: tientela cara e baciala.)
Astrologo.Prima da lo alabastro o sia ligustico
Marmo del petto viene, ove fra picciole
Ed odorate due pome giacevasi.
Camillo.Dal bel seno della mia dolce Emilia
Dunque vien questa carta felicissima?
Astrologo.Sua bella man quindi la trasse, e diemmela.
Nibbio.(Così t’avesse dato il latte mammata!)[2]
Camillo.O bene avventurosa carta, o lettera
Beata, quanto è la tua sorte prospera!
Quanto t’hanno le carte a avere invidia,
Delle quali si fan libelli, cedole,
Inquisizioni, citatorie,[3] esamine,
Istrumenti, processi e mille altre opere
De’ rapaci notari, con che i poveri
Licenzïosamente in piazza rubano!
O fortunato lino, e più in questo ultimo
Degno d’onor, che[4] tu sei carta fragile,
Che mai non fusti tela, se ben tonica
Fusti stata di qualsivoglia prencipe;
Poichè degnata s’è la mia bellissima
Padrona i suoi segreti in te descrivere!
Nibbio.(Sarà più lunga del salmo l’antifona.)
Camillo.Ma che tardo io d’aprirti, ed in te leggere
Quanto m’arrechi di gaudio e di jubilo,
Di ben, di gioja, di vita?
- ↑ Da spiegarsi: più candide che se fossero di latte o di neve.
- ↑ Tua madre. Voce usata popolarmente in gran parte d’Italia.
- ↑ Vedi la nota 2 a pag. 323.
- ↑ Intendasi: O fortunato lino, e in questo ultimo che (o quando) tu sei carta fragile, più degno d’onore, che mai non fosti quando eri tela ec.
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