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atto terzo. — sc. iv, v. | 395 |
Egli sarà ritrovato certissima-
mente, e preso o per ladro o per adultero.
Poich’aspettato avrà gran pezzo Emilia
Che venga a trarlo della cassa, all’ultimo
Converrà pur che sbuchi,[1] se morirsene
Di fame non vorrà: e quanto lo scandalo
Sarà maggior, la confusion, lo strepito,
Tanto la fuga nostra fia più facile.
Ma andiamo a ritrovarlo, ed a rinchiuderlo
Nella cassa.
Nibbio. Andate oltre, ch’io vi seguito.
Mio padrone è ben ghiotto e pien d’astuzia,
Ma non già de’ più cauti e più saggi uomini
Del mondo; ch’ove gli appaja una piccola
Speranza di guadagno, non considera
Se l’impresa è sicura o di pericolo.
Ai rischi a ch’egli si espone, è un miracolo
Che cento volte impiccato non l’abbiano.
Ma non potrà fuggir che non ci capiti
Un giorno; e ben fors’io seco, s’io seguito
Più troppo lungamente la sua pratica.
SCENA V.
FAZIO.
Temo ch’avrò mal consigliato Cintio
A fargli i suoi pensier dire all’astrologo.
Nol dico già ch’io voglia o possa credere
Che, tolto sotto la sua fede avendoli
Con tanti giuramenti, mai li pubblichi;
Ma ben lo dico perchè assai mi dubito
Che ’l ribaldo s’adopri pel contrario.
Veggo certi andamenti che mi piacciono
Poco. Non vô restar però di mettere
Questi danari insieme: e mi fia agevole
Farlo, perchè la madre di Lavinia,
Alla sua morte, mi lasciò una scatola
Con certe anella, collanucce e simili