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atto quarto. — sc. i. | 397 |
Cinquanta scudi per pagar lo astrologo;
Chè tanti gli ha promesso. Io volea intendere
Di parte in parte quel che insieme avessino
Parlato, e quel c’ha promesso lo astrologo
Di far; e appena si degnò rispondermi.
Se non che disse: — Fa pur che si truovino
Oggi questi danari, nè ti prendere
Cura. Il successo fia che ti significhi
Quel ch’abbiamo concluso insieme. — E dettomi
Così , mi si levò dinanzi pallido
E cambiato nel viso e d’un’altra aria,
Nè più parea quel Cintio ch’egli è solito:
Sì ch’io sto in gran timor che questo perfido
Ce l’attacchi; e che già qualche principio
Dato abbia, e mezzo guasto sì buon animo.
Temolo.Ho io ancor questo timor medesimo
Per altri segni; e tra gli altri, che il perfido
S’è partito da Massimo, con ordine
Di mandar una cassa di mirabile
Virtude: e vuol che la si facci mettere
A canto al letto ove li sposi dormono;
Ch’avrà forza di far che insieme s’amino,
Se ben fosse tra lor capital odio.
Fazio.Quando disse mandarla?
Temolo. Maravigliomi
Che non sia qui. Disse mandarla subito
Che fosse a casa.
Fazio. Egli n’ha senza dubbio
Ingannati. Ah rubaldo!
Temolo. Rubaldissimo!
Fazio.Ma altrettanto[1] noi sciocchi, ch’aperto la
Strada gli abbiamo onde ne viene a nuocere;
La qual non era per trovar, se avessimo
Me’ saputo tacer.
Temolo. Or, non avendola
Taciuta, che faremo?
Fazio. Trovar Cintio
Bisogna, ed avvertirlone. Che diavolo
So io? Ma dimmi: è in casa?
Temolo. No.
- ↑ Ediz. Giol.: altrotanto. Il Pezzana racconciò la misura a suo modo: poi ch’aperto la.
ariosto. — Op. min. — 2. | 34 |
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