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atto quarto. — sc. vi. | 407 |
Perchè l’avete voi fatto?
Fazio. Per rompere
Il disegno all’astrologo, certissimi
Che col mezzo di quella cassa studia
Di tradirvi.
Cintio. E perchè almeno non dirmene
Una parola, e non lasciarmi incorrere
In tanto error? Da voi, non dall’astrologo,
Son tradito; chè in quella stava un giovene
Nascosto, il quale ha inteso, per vostra opera,
Sì come tutta io la dicéa per ordine
A Lavinia, una trama che sapendosi,
Come si sa,[1] son, per dio, giunto a termine
Che mi saría meglio esser morto. Or ditemi
Dov’è ito Camillo, questo giovane
Che di qui è uscito; acciocchè , supplicandoli,
Donandoli, offerendoli, facendomi
Suo schiavo eterno, io lo vegga di muovere
A pietà de’ miei casi, sì che tacito
Stia di quel c’ha sentito? Ma impossibile
Sarà placarlo, chè d’avermi in odio
Ha cagion troppo giusta.
Fazio. Potete essere
Certo di venir tardi, perchè Abbondio
È, nel saltar fuor di casa, venutoli
Scontrato; al qual, come potéa, summaria-
mente (chè appena lo lasciava esprimere
Parola a dritto la stizza e la collera)
Ha contato ogni cosa.
Cintio. Non è misero
Uomo al mondo, col qual non cangiassi essere.
Tosto che il vecchio il sa (che è necessario
Che lo sappia di tratto[2]), oh Dio! a che termine
Son io?
Fazio. Fate pur conto che lo sappia;
Chè a lui Camillo drittamente e Abbondio
Son iti, e senza dubbio già narratoli
Hanno il tutto.
Cintio. Sono iti insieme a Massimo?
Fazio.Sì, sono.