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412 | il negromante. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Ariosto-Op.minori.2-(1857).djvu{{padleft:422|3|0]]
Se ascoltar mi vorrete.
Abbondio. Ambe vi accomodo
L’orecchie volentieri a questo ufficio.
Massimo.Ricordar vi dovreste, a quei principii
Che i Veneziani Cremona teneano,
Che, per imputazione de’ malivoli,
Io n’ebbi bando, e taglia di tremilia
Ducati dietro.
Abbondio. Mi ricordo.
Massimo. Andâmene,
Che mai non mi fermai, fino in Calabria;
Dove, per più mia sicurezza, in umile
Abito, e solo, e nominar facendomi
Anastagio, e fingendomi di patria
Alessandrin, mi celai sì, che intendere
Di me non si potè mai, finchè suddita
Fu questa terra lor. Quivi una giovane
Presi per moglie, e ingravidâla,[1] e nacquemi
Questa fanciulla. Udito poi che si erano
Uniti li Francesi con l’Imperio
Per cacciar Veneziani di dominio,[2]
Io, per trovarmi a racquistar la patria,
Nè volendo perciò, quando venissero
Le cose avverse, avermi chiuso l’adito
Di tornare a nascondermi, a Placidia
(Chè Placidia mia moglie nominavasi)
Dissi ch’io ritornava in Alessandria,
Per certa ereditade mia repetere;
E che quando i disegni miei sortissero
L’effetto ch’io speravo, fidatissime
Persone manderei, che la menasseno
Ove io fussi: e in due parti un anel dívido[3]
Per contrassegno; a lei la metà lassone,
Nè porto la metà meco; e commettole
Che, se non vede il contrassegno, a muovere
Non s’abbia. Io torno in qua, dove non preseno
Forma le cose mie, che più di quindici
Mesi passaro. Poi che al fin la presero,
Non volsi mandar altri, ma io proprio,