Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
418 | il negromante. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Ariosto-Op.minori.2-(1857).djvu{{padleft:428|3|0]]
A chi io gli dissi.
Temolo. (Io vô porre ogni industria
Per fargli qualche beffa memorabile.)
Astrologo.Ma veggo chi mel saprà dire.— O giovene,
Il mio garzon, che tu dêi ben conoscere,
Ha portato una cassa qui?
Temolo. Portato l’ha
Pur un facchino, ed è stato a pericolo,
Se non era io, di far non poco scandolo.
Astrologo.Mi disse ben ch’un delli vostri data gli
Avea la baja.
Temolo. Un delli nostri? Dettovi
Non ha la verità: fu un certo giovene
Mezzo buffon, che non par ch’altro studii
Che di dar baja a questo e quel ch’abbi aria
Di poco accorto. Ma, qui ritrovandomi
A caso, feci che il facchin, che volgersi
Voléa indietro, entrò in casa, e nella camera
Si scaricò dove gli sposi dormono:
Il padron venne poi subito, e chiusela
E seco ne portò la chiave a cintola.
Astrologo.Come facesti bene! Te n’ha Massimo
E tutti i suoi di casa da aver obbligo;
Chè stando nella strada, ne sarebbono
Li spirti usciti, e entrati in casa a furia
Questa notte, e trattati mal vi avrebbono.
Temolo.O maestro, pur che questi vostri spiriti
Si stian nella lor cassa, e che non corrano
Per casa, e qualche danno non ci facciano!
Astrologo.Non dubitare, chè non ci è pericolo.
Temolo.Voi direte la vostra, voi: mi triemano
Di paura le viscere.
Astrologo. Fidatevi
Pur di me, ch’io non vi lascerò nuocere.
Temolo.Cel promettete voi?
Astrologo. Sì, non aprendola.
Temolo.Oh ben pazzo saría chi avesse audacia
d’aprirla, o pur sol di toccarla: guardimi
Dio che mi venga simil desiderio!
Lasciamo ir questo. Io vô, mastro,[1] una grazia
- ↑ Vedi la nota a pag. 389.