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422 il negromante.

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Dell’oste; anzi, se puoi far netto,[1] pigliane
Delle sue.
Nibbio.                  L’avvertimento è superfluo.


SCENA VI.

NIBBIO solo.


S’io vo dietro a costui, sto in gran pericolo
Che un giorno io mi creda essere in Italia,
E ch’io mi truovi in Piccardia:[2] ma l’ultimo
Sia questo pur ch’io il vegga, non ch’io il seguiti.
Andar vô all’oste per le robe, ed irmene
Verso Tortona, indi passar a Genova:
E s’egli, come ha detto ed avéa in animo,
Anderà in giù verso Vinegia o Padova,
Non so se ci potrem tosto raggiugnere
Insieme. — Or non curate se lo astrologo
Restar vedete al fin della commedia
Poco contento; perchè l’arte ch’imita
La natura, non pate ch’abbian l’opere
D’un scelerato mai se non mal esito.
Non aspettate che ritorni Cintio,
Chè già buon pezzo con la sua Lavinia
Entrò per l’uscio del giardino; e Temolo
Lo cerca indarno per la terra. Or fateci
Con lieto plauso, o spettatori, intendere
Che non vi sia spiaciuta questa favola.




  1. Qui sembra da spiegarsi: se puoi farlo a man salva, senza pericolo.
  2. Sulle forche. Fu già notato, fa più di vent’anni, in qualche periodico italiano, che una illustre donna e avente il ius sanguinis (Veronica Gambara), avendo presi non so che saccardi o turbatori della pubblica quiete, scriveva, senza mostrar cica di quella che le nostre mamme chiamavano sensibilità: «Penso di questi prigioni farne una bella stangata, e mandarli in Piccardía.»
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