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428 la scolastica.
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Per ciò ch’ebbe principio dal medesimo
Autore che ci diede la Cassaria,
La Lena, il Negromante e li Suppositi:
Le quai commedie esser note vi debbono.
Ora questa così imperfetta, avendola
L’autor lasciata, con gli altri ben mobili,
Al figliuolo, da lui come carissima
Sorella fu accettata: indi fece opera
Di farle fare un fine che al principio
Fosse corrispondente; ma successegli
Diversamente dal suo desiderio;
In modo tal che gli fu necessario
Pigliar la penna, e farsi anch’egli comico.
E così, mentre ch’egli di amorevole
Cerca d’aver il nome, qual è l’animo
Suo, egli è ben come certissimo (sic)
D’averlo d’arrogante e temerario,
Che ardisca di por man ne la commedia
De l’Arïosto, che è stato al mondo unico
A’ tempi nostri. Oh come egli è difficile
Il potersi salvar da le calunnie!
Ma per lui ora mi piace rispondere
E dirvi, che se ben sappiam che debole
È il suo saper, a paragone massima-
mente di un tanto autor e di un tal spirito;
Pur, perchè alcuna volta vediam mettere
Gamba di legno o man di ferro agli uomini;
Le quali, ancor che sian tanto dissimili,
Parmi non sol che non acquistin biasimo
Ai facitori, ma ben laude e gloria,
Come quelle che rendano il corpo abile
A molte cose, a’ quai (sic) senza esse inutile

[1]


  1. alla Commedia La Scolastica (Opere di L. Ariosto, tomo V); ed è a maravigliare, che dal 1766 in qua, nessun altro editore abbia voluto accompagnarlo a quello che leggesi in tutte le stampe, ed è fattura non di Lodovico, ma di Gabriele Ariosto. L’erudito che sopra nominammo, ne possedeva un esemplare «di proprio carattere» di Virginio; il quale non questa sola fatica avéa presa per onorare, come studiò sempre, la memoria dì suo padre, ma le parti mancanti della Scolastica avéa prima composte in prosa, poi ridotte anche in versi, dopo avere inutilmente di ciò pregato Giulio Guarini da Modena (vedasi il Baruffaldi, Vita ec. , pag. 116; e la nota del Barotti summentovata): ma questa continuazione, della quale ognuno sentirà come noi desiderio, «o andò a male, — come il primo editore scriveva, — o giace ignota o negletta.»
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