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atto primo. — sc. iii. | 449 |
La sua venuta affanno dovess’esservi.
Eurialo.La sua venuta in ogni tempo, o fussevi
Mio padre o non ci fusse, non puot’essermi
Se non giocunda; e senza fin ringraziola.
Accursio.Meglio m’è tornar dunque, e far che vengano.
Eurialo.Dove?
Accursio. Qui in casa.
Eurialo. In casa non,[1] domine.
Non sai come Piston è rincrescevole?
Diría ch’io cominciassi presto.
Accursio. Oh diavolo!
Mi maraviglio ben di voi! Voletevi
Lasciar a un sciagurato sottomettere?
Non siete ormai più fanciullo: mostrateli
Che voi volete esser padrone; e fategli,[2]
Se vi vuol sopraffar, parer un asino.
Eurialo.Se ’l vecchio fusse sì lontan, che dubbio
Del suo tornar non avessi pel scrivere
Di costui, la farei secondo l’animo
Tuo: ma sii certo ch’a un’ora[3] medesima,
A un tempo, a un punto ch’elle in casa entrassino,
Mandaría dietro al vecchio, e querimonia
Nè faría tal, che lo faría rivolgere.
Meglio è che troviam lor oggi una camera,
In compagnía di qualche buona femmina.
Accursio.Buona? E dov’è?
Eurialo. Che ne so io? volsiti
Dire delle men rie che si ritrovino.
Accursio.In questo mezzo, vi par ch’elle debbiano
Star in chiesa digiune, o si riducano
Coi frati alla piatanza in refettorio?
Ma facciamo altrimenti.
Eurialo. Come?
Accursio. Dicasi
In casa, che le son di messer Lazzaro
La moglie e la figliuola, che doveano
Venire, e scrisson poi che non venivano
Più. Dichiamo or che di nuovo mutate si
Sono, e che pur Ferrara veder vogliono