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atto secondo. — sc. ii. | 445 |
SCENA II.
VERONESE VECCHIA, IPPOLITA, ACCURSIO,
BONIFACIO.
Veronese.I gesti e detti vostri si conformino
Con quel ch’abbiamo disegnato, Ippolita;
Sì che nè questi altri famigli accorgersi
Nè queste serve, c’hanno in casa, possano
Che noi non siamo quelle che ’l nostro utile
Comun richiede che debbiamo fingerci.
Ippolita.Saprò ben far io per me.
Veronese. Sì, se Eurialo
Non ci fusse.
Accursio. Anzi il farà meglio, essendoci
Egli, di non usar atto, o riguardandolo
Più del dovere, o accennando, o ridendogli
In viso, motteggiandolo, che liquido[1]
E chiaro faccia altrui che fra lor s’amino.
Ippolita.Se ci sarà persona a cui sia debito
D’aver rispetto, io starò cheta ed umile
Con gli occhi bassi, che parrò una monica.
Accursio.[2]Ecco la casa là del nostro Eurialo.
Ippolita.O cuor mio caro, o vita mia! Difficile
Sarà potermi tener di non correre
Ad abbracciarlo.
Veronese. Vedi come, Accursio,
M’è costei bene ubbïdiente!
Ippolita. Affrettati,
Vecchia; cotesto passo di testuggine
Allunga un poco. Vuoi che stiamo a giungere
A quella casa cent’anni?
Accursio. È impossibile,
In somma, che agli amanti legge mettere
Si possa. Ecco siam pur a casa: entrateci.
Ippolita.Entrate, madre.
Veronese. Va là, ch’io ti seguito,
Figliuola.
Accursio. Non mi dispiace il principio.
- ↑ Per Certo. Esempio notabile.
- ↑ Comincia nell’autografo una lacuna lunghissima, la quale si estende sino al verso che indicheremo nella scena III dell’atto terzo.
ariosto. — Op. min. — 2. | 38 |
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