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ATTO TERZO.



SCENA I.

EURIALO, ACCURSIO.


Eurialo.Chi si governa per cervel di femmina,
O di gente che a’ lor piaceri attendano,
Non può mai far cosa buona. Lasciatomi
Ho indurre a’ tuoi prieghi e a’ tuoi stimoli
Di celar la venuta a messer Claudio:
Ecco ch’ora egli il sa; che Bonifacio,
Che le vidde venire in casa, dettogli
Ha il tutto, e anco più: chè gli fa credere
Che Ippolita e quest’altra sien Flaminia
E la madre, come egli crede e credono
Gli altri nostri di casa; e, credendolo
Altresì messer Claudio, e pur veggendomi
Tenerla occulta, deve senza dubbio
Aver sospetto ch’io l’ami, e che postomi
Sia in sua absenzia in suo luogo; e dê volermene
Male; e se persevrasse[1] in questo credere,
Quell’antica fra noi benevolenzia,
Dal canto suo, tornería tosto in odio.
Meglio sarebbe stato che a principio
Io l’avessi avvertito come passano
Le cose.
Accursio.            Or, quel che è già fatto, è impossibile
Che non sia fatto. Veggiam pur di mettere
L’unguento, prima che il mal a procedere
Abbia più innanzi. È buon chiamarlo, e dirgli la
Cosa tutta.
Eurialo.                E menarlo in casa, e farglila
Vedere, e trarlo di questa ignoranzia.
Ma veggo là Piston, che torna. Vogliolo
Pur aspettar e fargli, come merita,
Un buon ribuffo. Si parte quest’asino
Di casa sempre mai che ci vede essere
Maggior bisogno d’uomini che servano.



  1. Contro le leggi del metro, i più antichi editori, non escluso il Barotti: perseverasse.
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