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460 la scolastica.
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Con esso lui; ch’io vô talmente imprimere
La cosa in capo al vecchio, che impossibile
Non fia che possa se non così credere.
E voi tornate in casa, ed avvisate le
Donne, ed ammaëstrate come debbano
E dir e far; e mostrate il pericolo
In ch’elle sono, se non si governano
Bene.
Eurialo.          Io farò. Piston, voglio che Accursio
Venghi teco. Ma tu non odi?[1] Guardati
Di non gli dir che di ciò corrucciatomi
Io mi sia, ma che più tosto io n’abbia
Piacer e gaudio: se non, ti certifico,
Ch’io ti farò del tuo errore accorgere.
Pistone.Non son stato a quest’ora a riconoscermi,
E sapere che questo e peggio merita
Chi cerca altrui servir, e può star libero.
Accursio.Deh, lasciai dir come vuol; non ti mettere
A garrir seco: gli è padron, gli è giovane,
Gli ha buon tempo.
Eurialo.                                 (Io vò prima a messer Claudio
Parlar, ch’io torni in casa.)
Accursio.                                              È entrato in collera
Col padre alquanto; e pur dianzi dicevami:
— Quasi alloggiar due donne, non essendoci
Lui, non sapessi anch’io? Questo è il bel credito
Che dar mi vuole! Ognun dirà, sapendosi
Ch’egli torni per questo, che mi reputa
Da lui a me (che te ne pare, Accursio?)
Un uom ben grosso, e ben privo d’industria...
Eurialo.(Meglio è chiamarlo, e far che con noi desini...)[2]
Accursio.Poichè non si è fidato di commettere
Alla mia discrezion cosa sì picciola. —
Eurialo.(E ch’egli sganni sè stesso, veggendole.)
Accursio.Egli avrebbe voluto questa gloria
Tutta per sè; che referito avessero
Poi queste donne a casa messer Lazzaro,


  1. Il Pezzana e il Molini, non sappiamo su qual fondamento, così mutarono questo verso:
                                  Venga teco dal padre mio; ma guardati.
  2. Con questo verso ricomincia l’autografo, nel quale è qui scritto: «disini.»
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