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476 | la scolastica. |
Da tanti lati fortuna contraria?
L’arco è tirato fin dove è possibile,
E non possibil anco; e sta per rompersi,
Più che per saettar al segno. Io simulo
Speme e baldanza,[1] e studio di far animo
Al giovene padron; ma non men timido
Che ’l suo, mi sento il côr nel petto battere:
E non so come una cosa che timida
mente si faccia, possa ben succedere.[2]
Ma poich’in questo laberinto posti ci
Siamo, ed io son stato cagione di mettervi
Me e gli altri, è mio principalmente[3] debito
Di non mi sbigottire e perder d’animo,
Quando ben tutti gli altri lo perdessero.
Bisogna che gli occhi apra, e ben consideri
Quei mal che avvenir pônno, e quei rimedii
Tutti apparecchi lor, prima che vengano.
La prima cosa, trovar messer Claudio
Bisogna, ed avvertirlo del pericolo
In che noi siamo; e come abbiam, sforzandoci
Il bisogno, alloggiato messer Lazzaro
In questa casa; acciocchè , non sapendolo,
Non venisse, e le cose in più disordine
Mettesse di quell’anco in che si trovano.
Ma meglio è ch’io l’aspetti fin che capiti
Qui per tornar a casa; chè, volendolo
Cercar, nè saper[4] dove, potrei facile-
mente non lo trovar. Ma ecco ch’escono
Il mio vecchio padrone e questo ipocrita
Gaglioffo, che con nostro molto incomodo
L’ha tenuto oggi a ciance.