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atto quarto. — sc. iv. | 477 |
SCENA IV.[1]
FRATE, BARTOLO e ACCURSIO.
Frate. Porteròllavi,
E ve la lasciarò vedere e leggere.
Siate pur certo che la bolla è amplissima,
E che di tutti i casi, componendovi
Meco, vi posso interamente assolvere
Non meno che potría ’l papa medesimo.
Bartolo.Vi credo; nondimeno, per iscarico
Della mia conscïenza, la desidero
Veder, e farla anco vedere e leggere
Al mio parrocchiano.
Frate. Sit in nomine
Domini: porteròlla, e mostreretela[2]
A chi vi par. In tanto messer Dome-
nedio sia con voi.
Bartolo. E con voi, padre, simile-
mente. Ma ecco Accursio. Dove è Eurialo?
Accursio.Eurialo, padrone? Appunto andavolo
Cercando. Io non conobbi giammai giovene
Che non fusse con donne più domestico
Di lui. Che pensa, domine, che siano
Serpi? In lor casa è stato sì amorevole-
mente trattato da queste due femmine,
Madre e figlia, che non è possibile,
Per dio, narrarlo; ed è così salvatico
Con esso lor, come se mai vedutole
Non prima d’oggi l’avesse. Suo officio
Era d’intertenerle, e con buonissima
Ciera far lor profferte, come gli uomini
Che voglian render cambio a’ beneficii.
- ↑ Il Barotti pensava, indotto forse in errore dal Pigna (opera sui Romanzi), che questo sia il luogo ove Lodovico lasciò interrotto il suo lavoro, e donde Gabriele poi tolse a seguitarlo: ma il manoscritto creduto autografo dal primo de’ due, che ancora sussiste in Ferrara, continua invece sino alla scena quarta dell’atto quinto.
- ↑ Nella difficoltà che qui presenta l’autografo, ponendo «porterollavi e mostrerolla,» cioè con ridondanza di una sillaba e con l’accento sulla penultima; ci è parso bene di attenerci alla lezione del Barotti, convalidata dalla copia di Gabriele. Editori antichi e recenti accolsero quel verso medesimo, cioè piano tra gli sdruccioli, solo togliendo dal precedente verbo l’affisso vi.