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atto quarto. — sc. iv, v. | 479 |
Bartolo.Ora che men ricordo, ancor non sonosi
Svegliate? Quando disnaremo? a vespero?
Io mi levai stamane anti suonassero
E’ mattutini. Ma che tarda Eurialo?
Se ci fusse, vorrei che la finissimo.
Ma chi è costui che vien con Bonifacio,
Vestito a lungo? È qualche nuovo giudice?
Accursio.Padrone, andiam; non stiam qui più a perdere
Tempo; perchè non è quasi possibile
Che a voi sì vecchio non sia di pericolo
Patir la fame, e vi dico[1] grandissimo.
Bartolo.Come mi piace, Accursio, che la pratica
Avuta fra scolari a Studio, t’abbia
(Com’io vedo) mostrato qualche regola
Di medicina!
Accursio. (Deh, come molestami,
Come mi dà nel volto[2] la presenzia
Di costoro che verso noi s’inviano!)
Padron, andiamo.
Bartolo. Se tu vuo’andar, vattene:[3]
Voglio, s’io posso, quest’uomo conoscere:
Egli debbe esser persona notabile.
Accursio.(Questo appunto voléa! o che disgrazia!)
SCENA V.
BONIFACIO, LAZZARO e detti.
Bonifacio.M’avete fatto, quasi io dirò, ingiuria
A non tôrre un par d’ôva, e così subito
Voler uscir, che appena rivestitovi
Avete i panni.
Lazzaro. Io sono così, Bartolo,
Nel ventre della madre (abbi pacienzia)
Stampato. Degli amici più mi premono
- ↑ Qui pure il medesimo, (vedi la pag. preced., nota 4): «Che a te c’hai tanti dì, non sia pericolo Patir la fame, e ti dico ec.»
- ↑ Parmi che dar nel volto qui sia lo stesso che dar nel vaso, cioè molestare, turbare, dispiacere. — (Tortoli.) — Resterebbe però a sapersi se qui debba pronunziarsi vólto o vôlto; e nel secondo de’ due casi, non vorremmo affaticarci nel dichiarare il traslato.
- ↑ G. A. e le stampe: «Orsù, non più, aspettami.»