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atto quarto. — sc. vi, vii. | 485 |
Sull’uscio, come sei, quand’essi uscirono,
Messer Lazzaro, dico, e Bonifacio?
Bartolo.Holli veduti. Ma chi dunque, domine,
Dobbiam creder che sian le due mancusciole[1]
Che avete detto che di sopra dormono?
Deh, perchè vo cercando quel che vedesi?
Grosso uom ch’io sono! Debb’esser la femmina,
Con la compagna, che dicean quegli uomini,
E c’ha poi confessato il nostro Accursio
Con pugni e calci. Ma ch’io debba pascere
Cotai galline di mia esca, facciome-
ne maraviglia.[2]
Stanna. Padrone, gli è in ordine,
Quando ti piaccia di venire a tavola.
Bartolo.A tavola, eh! Disnar m’ha dato Eurialo,
E son satollo sì, che quasi scoppio.
Va, Stanna, in casa, e senza me disnatevi.
Io voglio seguitar costor, che trattano
Senza l’oste saldar un certo computo,
Che forsi non serà com’egli credono.
Io vô che l’avvocato mio chiariscami
Se la ragion comporta che si possano
I figli maritar senza licenzia
De’ padri, e se cotai contratti vagliono.
Ma ecco chi mi dà questi piacevoli
Pensieri; ecco che vien di qua[3] il mio Eurialo.
Non so come avrà volto a presentarmisi.
Ma che? non sa ch’io sappia ancor la pratica.
SCENA VII.
EURIALO e detti.
Eurialo.(Tanti mali ad un tempo mi circondano
Da tutti i lati, e improvviso mi premono,
Ch’io non so da qual parte io debba volgermi
- ↑ Così nell’autografo, ed è voce non della lingua nazionale e d’ignota significazione. Il suono fa pensare a Cucciole, e può congetturalmente spiegarsi: Sgualdrinelle. G. A. e gli editori supplirono: femmine.
- ↑ La lezione del Grifio conferma quella dell’Ariosto. Primo il Giolito, per quanto da noi vedasi, seguì G. A., che aveva emendato: «facciomene Gran maraviglia.»
- ↑ G. A.: «in qua.»
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